di Antonio Santoro
Il problema è il primum della ricerca scientifica, ma è anche il primum dell’insegnamento. Il problema è il fondamento della motivazione, della motivazione a ricercare. E’ il problema che trasforma la scuola da luogo di noia e di pena – dove si danno risposte a domande non poste – a <centro di ricerca>.
(Dario Antiseri)
In uno scritto recente per Scuola e Amministrazione, accennavo all’impegno continuo, nella scuola, di risolvere i problemi che sempre presenta, nelle sue diverse modalità attuative, il processo di insegnamento-apprendimento: in particolare, facevo riferimento alle responsabilità dei professionisti dell’istruzione di costruire e proporre risposte ritenute in grado di soddisfare le specifiche esigenze delle domande individuali e sociali di formazione.
Secondo Dario Antiseri, anche la ricerca che nella scuola si realizza per sciogliere i nodi problematici che l’insegnamento pone – quella ricerca che prevede la partecipazione attiva degli insegnanti, che è notoriamente legata alla figura di Kurt Lewin e che è conosciuta come ricerca-azione –, “al pari di ogni altra ricerca scientifica, prende sempre inizio dai problemi. E il problema è sempre un’aspettazione delusa: un urto di un qualche aspetto o pezzo di realtà su di una nostra attesa. Quando questo urto avviene, noi ci meravigliamo; ci meravigliamo di un fatto o di un evento che ci appare <strano>; ci appare strano poiché non ce lo aspettavamo; e non ce lo aspettavamo poiché pensavamo, magari inconsciamente, che le cose dovevano andare in un certo modo, poiché eravamo abituati ad un determinato decorso degli eventi che poi il fatto <strano> ha interrotto e messo in discussione, cioè reso problematico”.
Dunque, pure la ricerca-azione “prende l’avvio da problemi pratici e teorici, cioè da aspettazioni deluse, da scoppi di meraviglia” (1). Le sue finalità sono quelle di favorire una più approfondita conoscenza della prassi didattica, in virtù del coinvolgimento dei docenti in appropriati processi di riflessione e di analisi (2), e di introdurre, poi, cambiamenti migliorativi nelle attività di insegnamento (3): si tratta, in sostanza, di una ricerca “orientata essenzialmente verso la conoscenza raffinata della pratica, in vista della sua ottimizzazione” (4).
Cesare Scurati riassume in termini ancor più esplicativi le peculiari caratteristiche della ricerca-azione nella scuola, precisando che essa:
– “si rivolge a quegli aspetti dell’azione didattica e della situazione scolastica che gli insegnanti percepiscono come non accettabili, suscettibili di cambiamento e tali da esigere una risposta pratica”;
– “quindi, riguarda i problemi pratici di ogni giorno”;
– “intende approfondire la capacità degli insegnanti di percepire i loro problemi”;
– “non prescrive alcuna risposta, ma indica più in generale quale tipo di risposta potrebbe essere quella adatta”;
– in definitiva, “si presenta come uno studio condotto (dai docenti) intorno alla loro attività, mirante in primo luogo a valutare la coerenza fra la teoria e la pratica, cioè fra ciò che si asserisce e ciò che effettivamente avviene nel corso dei fatti” (5), e per questo scopo legittimato e sostenuto da prospettive di crescita professionale e di sviluppo della qualità istituzionale.
Nell’ultima precisazione è possibile rintracciare le ragioni che, ancora una volta, sollecitano la realizzazione di significativi percorsi di ricerca-azione nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.
La realtà della nostra scuola dice che l’indispensabilità di uno sguardo critico sulle proprie esperienze professionali è avvertita e considerata, soprattutto, a livello personale. E’, insomma, il singolo docente che sistematicamente riflette “su ciò che si fa, sul come lo si fa, sul perché lo si fa, sul per chi lo si fa, sulla direzione dell’agire” (6): in sintesi, sugli esiti delle proprie scelte didattiche e organizzative, per acquisire nuove consapevolezze, nuove competenze, e per individuare più efficaci linee di azione promozionale.
Una riflessività da realizzare insieme trova, certo, disponibilità e opportunità attuative nella informalità della comunità di pratica, ma aperture piuttosto rare nella ufficialità delle determinazioni degli organi collegiali, dove l’assunzione della prospettiva difficilmente oltrepassa i confini dell’adempimento burocratico-formale per diventare positivo confronto di punti di vista e prestazioni individuali.
Ciò che si verifica di fatto – e che si evidenzia con un esempio che appare del tutto pertinente – è addirittura l’assenza di decisioni e iniziative dei Consigli di classe, di interclasse e di intersezione davvero in grado, nonostante la riconosciuta rilevanza delle loro competenze “in materia di programmazione, valutazione e sperimentazione”, nonché di “coordinamento didattico”, di promuovere e attivare nell’unità scolastica significativi processi di innovazione e, quindi, di ulteriore qualificazione dell’offerta formativa istituzionale.
La scelta collettiva di limitarsi allo scambio superficiale di informazioni e alla espressione, spesso doverosa, di pareri richiesti dall’Amministrazione e/o da Enti esterni esclude dall’orizzonte ogni possibilità di coinvolgimento ed impegno in itinerari di ricerca-azione, con la conseguenza di rinunciare in concreto a percorrere la strada che porta dalla scuola che insegna alla scuola che apprende, e di non favorire l’auspicato passaggio dal campo dei problemi al campo delle soluzioni.
L’indisponibilità di indicazioni e consigli provenienti da specifiche esperienze di ricerca-azione lascia gli insegnanti nella difficoltà di definire offerte formative capaci di considerare la diversità delle domande di educazione e istruzione, e nella tentazione – che quella difficoltà genera ed alimenta – di adagiarsi, più o meno consapevolmente, nella ripetitività dei gesti didattici e nella cristallizzazione delle forme organizzative.
Dalle considerazioni appena espresse viene la giustificazione delle istanze che tornano a chiedere politiche e disponibilità per lo sviluppo della ricerca-azione nelle diverse realtà del sistema-scuola. “Allo stato attuale dei fatti – sottolineava non pochi anni addietro Cesare Scurati –, la partecipazione a validi progetti di ricerca-azione rappresenta l’esperienza di qualificazione in servizio più produttivamente efficace. Non sarà moltissimo, ma non è nemmeno il caso di dimenticarsene” (7).
Note
1. D. Antiseri, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, Ed. La Scuola, Brescia 1985, pp. 16-17;
2. cfr. Jean Pierre Pourtois, La ricerca-azione in pedagogia, in Egle Becchi e Benedetto Vertecchi (a cura di), Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Franco Angeli Editore, Milano 1984, pp. 134-155;
3. cfr. Carlo Trombetta (a cura di), Ricerca-azione e psicologia dell’educazione, Armando Editore, Roma 1988, pp. 17-53;
4. J.P. Pourtois, La ricerca-azione in pedagogia, cit., pp. 139-140;
5. C. Scurati, Realtà umana e cultura formativa, Ed. La Scuola, Brescia 1999, pp. 41-43;
6. Bruno Rossi, Apprendere dalla realtà. La formazione invisibile, Pedagogia e Vita, Annuario 2013, p. 166;
7. C. Scurati, Realtà umana e cultura formativa, cit., pp. 45-46.