• lunedì , 30 Dicembre 2024

La complessità dell’educare oggi

di Antonio Santoro

<… ciò che ci “rende” unici, ciò che ci “permette” di parlare con una voce propria e singolare, risiede nei modi in cui rispondiamo all’altro, all’alterità dell’altro>.

(Gert J.J. Biesta)

Nel 1983 Cesare Scurati presentava il suo libro Umanesimo della scuola oggi (Ed. La Scuola, Brescia) scrivendo di “neoalbeggiante tendenza a ricollocare nell’educativo il tema primario e la giustificazione fondamentale della presenza della scuola nell’esperienza formativa della persona” (p. 5). Quella tendenza è diventata, col trascorrere degli anni, sempre più una urgenza, che l’UNESCO ha considerato “nel lavoro Rethinking Education: Towards a global common good” del 2015, riconoscendo la necessità di “andare oltre l’alfabetizzazione e l’acquisizione di competenze matematiche per concentrarsi sugli ambienti dell’apprendimento e su nuovi approcci all’educazione che conducano a una maggiore giustizia, equità sociale e solidarietà globale. L’educazione deve insegnare a vivere in un pianeta sotto pressione. Deve avere come obiettivo l’alfabetizzazione culturale, basata sul rispetto e sulla pari dignità di tutti, contribuendo a forgiare le dimensioni sociali, economiche e ambientali dello sviluppo sostenibile. Si tratta di una visione umanistica dell’educazione come bene comune essenziale che rinnova i principi che hanno ispirato la Costituzione UNESCO” (1).

Questa prospettiva formativa la ritroviamo, con accenti originali, nelle riflessioni pedagogiche di Edgar Morin, il quale continua ad auspicare nei suoi scritti <un’educazione rigenerata>, in grado di “formare adulti più capaci di affrontare il loro destino, più capaci di far fiorire il loro vivere, più capaci di conoscenza pertinente, più capaci di comprendere le complessità umane, storiche, sociali e planetarie, più capaci di riconoscere gli errori e le illusioni nella conoscenza, nella decisione e nell’azione, più capaci di comprendersi gli uni con gli altri, più capaci di affrontare le incertezze, più capaci di affrontare l’avventura della vita” /2). Più capaci – precisa il filosofo francese in termini vieppiù espliciti e sicuramente più efficaci – di comprendere e dunque “di affrontare i problemi fondamentali e globali dell’individuo, del cittadino, dell’essere umano”, in virtù dell’acquisita consapevolezza che “questi problemi richiedono, per essere affrontati, la possibilità di riunire molte conoscenze separate nelle discipline. Richiedono un modo più complesso di conoscere, un modo più complesso di pensare” (3).

Negli anni in cui Morin sollecita ripetutamente una riforma radicale dell’azione didattica, è soprattutto il pedagogista olandese Gert J.J. Biesta – secondo Francesco Cappa – a riportare “l’insegnamento al suo potenziale profondamente educativo e trasformativo”, e a ricordarne “il vero compito (che) riguarda l’<accendere, in un altro essere umano, il desiderio di voler esistere nel e con il mondo in modo adulto>, critico, consapevole e libero” , (4). Un compito “complesso, perché il nostro obiettivo (di educatori) non è controllare i nostri educandi o far sì che possano inserirsi in un determinato ordine sociale. Noi ci occupiamo della loro libertà, ovvero della possibilità di esistere come soggetti della propria vita e non come oggetti di altre forze. L’attenzione alla libertà dei nostri educandi – e più in generale delle nuove generazioni – non ci permette di attestarci nelle retrovie. Il nostro lavoro è quello di equipaggiarli e di aiutarli a orientarsi nel mondo”, lungo un percorso che presenta sempre la necessità “di trovare un equilibrio tra vincoli e aperture, tra il guidare e lasciare spazio” (5).

La complessità del nostro compito di educatori – aggiunge Biesta – deriva anche dal fatto che non possiamo più sottrarci alla responsabilità di promuovere e favorire, nella società di oggi, la comprensione di “come vivere con coloro che non hanno nulla in comune con noi […], con chi è radicalmente altro da noi”: quindi, al dovere di considerare “la sfida della democrazia, ovvero il tentativo di vivere democraticamente in un mondo plurale e diversificato”, che si presenta come questione fondamentale “soprattutto in un conteso culturale che sembra essere più interessato a trovare risposte semplici e sbrigative a domande complesse” (6).

Se “Il futuro dell’educazione e dello sviluppo nel mondo attuale richiede la promozione di un dialogo tra prospettive del mondo”(7), appare del tutto comprensibile che la scuola non possa non caratterizzarsi come luogo di confronto tra culture diverse, dunque come ambiente nel quale la proposta di attività ed esperienze risulti sempre sostenuta e giustificata dalla necessità di rendere disponibili, a identità differenti, significative opportunità di incontro, di conoscenza reciproca, di responsabile collaborazione.

Agli insegnanti spetta, in particolare, la considerazione dell’invito di Biesta “a pensare al ruolo dell’educazione e della formazione nei termini della costruzione di ‘spazi’ intersoggettivi caratterizzati dal pluralismo e dalla differenza” (8). Ai professionisti dell’istruzione compete, quindi, la responsabilità di progettare e gestire ambienti che consentano di promuovere “l’educazione all’incontro con l’altro, al pensiero critico, all’unità di sé, alla partecipazione consapevole” (9); e alla istituzione scolastica quella di “essere un luogo in cui gli studenti possano agire, in cui possano portare i loro inizi in un mondo di pluralità e differenza, in modo tale che i loro inizi non ostacolino la stessa opportunità anche per gli altri” (10).

Naturalmente, sottolinea subito dopo il filosofo dell’educazione, “Il ruolo della scuola e degli educatori non è […] solo quello di creare opportunità di azione, sia consentendo agli individui di iniziare e prendere l’iniziativa sia tenendo in essere uno spazio di pluralità e differenza in cui l’azione è solo possibile; essi hanno anche il ruolo essenziale di suscitare e supportare la riflessione su quelle situazioni in cui è stato possibile agire e, forse ancora più importante, (su) quelle situazioni in cui non lo è stato. Ciò potrebbe favorire la comprensione della fragilità delle condizioni interpersonali e strutturali in cui gli esseri umani possono agire e possono essere soggetti” (11).

Nella organizzazione e gestione dei diversi ambienti scolastici, i docenti hanno pure la responsabilità, oggi, “di farsi carico di un nuovo disciplinamento dei comportamenti che riguarda: l’utilizzo delle nuove tecnologie; la loro fruizione all’interno di una esperienza sociale e formativa più ampia; l’attenzione verso le modalità comunicative che vengono messe in atto; l’opportuno mantenimento di una differenza tra interiorità ed esteriorità, tra spazi pubblici e privati” (12).

Si tratta di un dovere professionale che deriva, evidentemente, dalla constatazione che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno già “incidendo profondamente sulla realtà ordinaria dell’educazione implicita e informale”, e dunque dalla rilevata pervasività di un cambiamento che legittima la richiesta all’educazione formale “di considerare le trasformazioni in atto nella loro complessità, evitando di cadere nel rischio di interpretare ciò che sta accadendo soltanto attraverso la categoria dell’elogio del passato o del presente, a seconda dei punti di vista”: in definitiva e nello specifico, che motiva la domanda alla scuola di esercitare la responsabilità formativa di competenza, anche con un impegno promozionale della “capacità di abitare con consapevolezza il proprio tempo, cercando di comprenderlo e interrogarlo avendo l’attenzione a collegare i molteplici aspetti che lo caratterizzano” (13). E sempre con la determinazione a “essere un contesto di vita ‘personalizzante’, ossia a misura di ciascuno, capace di concorrere attivamente alla crescita della persona nell’integralità delle sue dimensioni, nella sua libertà e responsabilità” (14).

Note:

1. cit. in Lidia Cadei, Pedagogia, nuovo umanesimo e democrazia: la ricerca educativa verso il bene comune, Pedagogia e Vita, n. 2/2021, p. 19;

2. E. Morin, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Cortina Ed., Milano 2015, p.47;

3. E. Morin, La via. Per l’avvenire dell’umanità, Cortina Ed., Milano 2012, p. 140;

4. F. Cappa, L’evento dell’insegnamento – Introduzione all’edizione italiana di G. J.J. Biesta, Riscoprire l’insegnamento, Cortina Ed., Milano 2022, pp. XVI-XVII;

5. G. J.J. Biesta, Oltre l’apprendimento. Un’educazione democratica per umanità future, FrancoAngeli Ed., Milano 2023, p. 17;

6. ivi, pp. 16-17;

7. L. Cadei, cit., p, 26;

8. Chiara Carla Montà, Introduzione a G. J.J. Biesta, Oltre l’apprendimento, cit., p. 10;

9. Pierpaolo Triani, Ambienti educativi e nuove tecnologie: la sfida permanente di contesti personalizzanti, Pedagogia e Vita, cit., p. 40;

10. G. J.J. Biesta, Oltre l’apprendimento, cit., p. 122;

11. ivi, p. 125;

12. P. Triani, cit., p. 41;

13. ivi, pp. 37-39;

14. ivi, p. 43.

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