• giovedì , 21 Novembre 2024

Il sapere e l’ethos degli insegnanti

di Antonio Santoro

L’insegnamento è <qualcosa di più della comunicazione di un sapere già codificato (quello scientifico) e di diverso rispetto ad una tecnologia dell’apprendimento: siamo dinanzi, invece, e più comprensivamente, ad una azione morale […] rivolta agli alunni, alle famiglie e alla società in generale>. (E. Damiano)

Mi è capitato di assistere, giorni addietro, a una vivace discussione tra insegnanti di ordini e gradi di scuola diversi. Venivano da un seminario su La professionalità docente nella realtà di oggi, e continuavano a interrogarsi sulla specificità del loro lavoro, con la solita, obsoleta contrapposizione tra disciplinaristi e pedagogisti che li portava a sottolineare, rispettivamente, l’assoluta rilevanza degli oggetti culturali o la centralità del soggetto educando.

L’argomento era comunque interessante, al punto da spingermi, poi, alla rilettura di alcuni scritti di Elio Damiano nei quali si affronta il tema dell’insegnamento anche utilizzando dati ed esiti di specifiche ricerche.

Inizialmente, ho scelto di ‘riprendere in mano’ il saggio di Damiano Gli insegnanti conoscono l’insegnamento?, pubblicato nel 2008 sulla rivista Orientamenti Pedagogici: non per l’interrogativo quasi provocatorio del titolo, ma perché nel saggio si sottolinea che l’esperienza professionale aveva consentito ai docenti interpellati di andare oltre ogni considerazione unilaterale della loro attività e quindi di acquisire, negli anni, più ‘comprensive’ e perciò più adeguate “conoscenze dell’insegnamento che concernono:

a) la materia d’insegnamento (la sua importanza formativa, le difficoltà che comporta apprenderla, nel suo insieme o per alcuni aspetti particolari, il tipo di attitudini che presuppone negli studenti);

b) i programmi e la programmazione (quali sono gli aspetti più importanti della materia? a quali aspetti occorre prestare più tempo nell’insegnamento? quali sono i temi o gli argomenti sui quali occorre basarsi per valutare gli alunni? quali sono le conoscenze da considerare necessarie per proseguire nelle classi successive? come fare a stabilire che cosa insegnare? che cosa cambiare o confermare dei programmi della materia?);

c) la relazione didattica (come porsi in classe, davanti agli alunni? come farsi considerare dall’alunno e dalla scolaresca? quali metodi adottare in classe per essere più efficace? quali sono i <ferri del mestiere> da preferire? quale approccio occorre seguire nella gestione della classe?);

d) l’apprendimento (che cosa significa <imparare> qualcosa? qual è la maniera più adatta per imparare quella materia? quali sono i tipi di studenti che riescono meglio nella materia? quali tecniche e strategie di apprendimento è necessario suggerire e incoraggiare? quali, invece, bisogna scoraggiare? quale atteggiamento si deve ottenere in classe dagli alunni?)” (1).

Si tratta di acquisizioni che, insieme, consentono ai docenti di disporre ”di un corpo unitario di conoscenze professionali relative all’insegnamento”, cioè di costruire via via, attraverso la pratica didattica, “il loro sapere, e quindi le procedure mediante le quali è possibile renderlo esplicito, riconoscerlo e assumerlo per la conoscenza teorica dell’insegnamento” (2).

Nell’impegnativo lavoro di tutti i giorni, gli insegnanti trovano dunque le risposte ai quesiti innanzi richiamati e costruiscono, conseguentemente, la loro concezione dell’insegnamento innanzitutto attraverso il ricorso alla principale <astuzia del mestiere>, “che – precisa Damiano – non è la furberia o l’inganno di Prometeo, ma la calliditas di Ulisse, l’intelligenza pratica che permette di far fronte all’imprevisto, di tradurre un ostacolo in una possibilità, una resistenza in una forza, e che procede <obliquamente> dritta allo scopo, senza seguire le strade più lineari, anche se obbligate dalle norme. Per restare all’antichistica, Aristotele parlava al proposito di <saggezza> (phronesis), la virtù che denota il professionista esperto, tenuto a tradurre la generalità delle prescrizioni nella soluzione concreta di casi singolari e inusitati” (3). E grazie anche alla “razionalità della conoscenza pratica […] che si manifesta in tutta la sua rilevanza se guardiamo l’insegnamento sotto l’angolatura dell’azione e che consente all’insegnante di fronteggiare un insieme di compiti della più alta complessità, che lo impegnano in una moltitudine di micro-decisioni concernenti questioni del genere della verità del sapere e della validità delle sue trasformazioni che l’insegnamento richiede, il buon funzionamento del gruppo, l’instaurazione di un clima di lavoro, l’animazione intellettuale di tutti gli alunni, la differenza di ciascuno, la sicurezza e il benessere emotivo. E ancora, in tempo reale: l’efficacia delle situazioni di apprendimento, la consequenzialità della progressione dei contenuti, l’organizzazione materiale degli arredi e degli strumenti, la giustezza della valutazione, l’uguaglianza fra gli alunni” (4)..

Le riflessioni di Elio Damiano mi portavano a riconsiderare, con percorsi di analisi meno estemporanei, le varie prese di posizione dei docenti che tornavano dalla esperienza di formazione in servizio, e a rilevare via via che dai loro diversi punti vista non affiorava mai la consapevolezza dell’insegnamento come “azione morale”, unica dimensione in grado – secondo lo studioso – di indicarne compiutamente specificità e senso.

L’insegnamento come <impresa a carattere morale> – puntualizza Damiano, opportunamente – si realizza e si manifesta nel lavoro di integrazione dei suoi elementi costitutivi (il sapere, l’alunno, l’insegnante); nel <processo di solidale interazione fra le (predette) tre componenti del ‘campo pedagogico’, che determina nella sua singolarità e ‘località’, di volta in volta e irripetibilmente, l’evento dell’insegnare>; nel <‘negoziato continuo e latente’ […] che vede l’alunno come co-protagonista capace di esprimere strategie efficaci di ‘convenienza’>; infine, nella <azione di scuola […] espressione della collettività degli insegnanti> (5).

Nelle pratiche scolastiche, dunque, si pone sempre, in termini più o meno espliciti, la questione morale, che è ineludibile quando ci si confronta con gli altri (6), e nella realtà istituzionale il docente si confronta continuamente con gli alunni, con gli altri professionisti dell’istruzione, con le famiglie, con le diverse istituzioni del territorio. E si pone, soprattutto, perché l’insegnamento altro non è che l’espressione della responsabilità di un soggetto nei confronti di “un altro identificato nella sua dipendenza e fragilità”, della cura che l’educando si attende per potersi realizzare durante l’età evolutiva (7). In definitiva, è l’etica della responsabilità a sostenere e a orientare l’agire dell’insegnante, che non può non basarsi sull’imperativo, morale, di dare risposte alla prospettiva di crescita integrale dello studente (8).

Note

1. E. Damiano, Gli insegnanti conoscono l’insegnamento?, Orientamenti Pedagogici, n. 1/2008, pp. 49-50;

2. ivi, pp. 39-40;

3. ivi, p. 48;

4. E. Damiano, L’ethos degli insegnanti, Orientamenti Pedagogici, n. 3/2008, p. 445;

5. cfr. E. Damiano, L’insegnante etico. Saggio sull’insegnamento come professione morale, Cittadella Editrice, Assisi 2007, pp. 260-264;

6. cfr. Paul Ricoeur, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 2016;

7. cfr. E. Damiano, L’insegnante etico, cit., pp. 274-275;

8. cfr. Hans Jonas, Il principio di responsabilità, Einaudi, Torino 1990.

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