CIFA Onlus è promotrice di un progetto nazionale rivolto a studenti e formatori, per sovvertire le statistiche sul discorso d’odio
Insulti, provocazioni, spesso vere e proprie violenze fisiche: ciò che accade nelle nostre scuole è lo specchio delle dinamiche sociali in corso. Le statistiche, nazionali ed internazionali, parlano chiaro: la discriminazione verso alcune categorie, dai migranti alle donne, dai disabili alla comunità LGBTQI, è palese, ed è alimentato dall’accesso a social network e altre piattaforme web-based. Ma il dato più allarmante è che la percezione è falsata: buona parte della popolazione, cioè, non considera discriminatori determinati atteggiamenti.
Per questo CIFA Onlus ha pianificato una strategia di contrasto che parte innanzitutto dalla riflessione, dall’analisi critica del contesto: solo riconoscendo un fenomeno discriminatorio come tale, lo si può contrastare.
Il discorso d’odio
Il discorso d’odio (hate speech) si riferisce all’“insieme di tutte le forme di espressione che giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo ed altre forme di discriminazione basate sull’intolleranza” (Consiglio d’Europa 2016). Inoltre, l’hate speech esprime un atteggiamento discriminatorio e intimidatorio anche contro i disabili e le persone LGBTQI (No Hate Speech Movement 2016). Sebbene il discorso d’odio non sia da considerarsi equiparabile al crimine d’odio, penalmente rilevante, appare evidente come il suo crescente utilizzo da parte di giornali, reti TV e soprattutto persone singole nei social network non sia solo un fenomeno preoccupante di per sé, ma impatti anche sui comportamenti all’interno della società.
Internet ha la più alta incidenza di comportamenti razzisti (84%), rispetto a stampa (10,7%), TV (4,6%) e radio (0,8%) e si tratta di dati in continua crescita (ISTAT 2011). Le categorie più discriminate sono: migranti, donne, musulmani, omosessuali, disabili, rom (No Hate Speech Movement 2016).
Ad esempio, l’atteggiamento degli Italiani verso gli immigrati è diffidente (60,1%) o apertamente ostile (6,9%). L’80,8% ritiene difficile per un immigrato l’inserimento nella nostra società, il 2,4% lo reputa impossibile. Per il 56,4% degli italiani un quartiere si degrada se ci sono molti immigrati e per il 52,6% l’aumento degli immigrati favorisce il diffondersi del terrorismo e della criminalità. Un terzo degli stranieri di età superiore ai 15 anni dichiara di essere stato vittima di discriminazione in Italia. Le cause presunte sono: le proprie origini (89,5%), il colore della pelle (14,6%), il credo religioso (6,3%).
Anche tra gli stranieri più giovani (6+), il 12,6% dichiara di essere stato coinvolto in episodi di discriminazione dovuti alle proprie origini (Jo Cox 2017). La situazione femminile non è migliore. Il fenomeno della violenza sulle donne è diffuso (ISTAT 2014), tuttavia vi è un’attenuazione della sua percezione tra la popolazione. Il 31,5% delle Italiane ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza. Il 12,3% ha ricevuto minacce. Nei media vi è una sistematica sotto-rappresentazione delle donne, e nel 7% delle trasmissioni si veicolano messaggi che ne offendono la dignità. Mentre in Francia e Germania, che presentano dati simili, le cose stanno migliorando, in Italia la situazione sembra in stallo.
Ancor meno percepite sono le discriminazioni subite dalle persone con disabilità e dalla popolazione ROM. Per questo le raccomandazioni contenute nella “Relazione finale della Commissione Parlamentare «Jo Cox»” (luglio 2017), incoraggiano l’attuazione di azioni indirizzate al contrasto del discorso d’odio sul territorio.
In ambito scolastico, un rapporto curato da REDU (settembre 2016) per Amnesty in materia di discriminazione e bullismo nelle scuole superiori ha identificato come cause per la discriminazione l’aspetto fisico, la nazionalità, le origini sociali e culturali, l’orientamento sessuale, la disabilità e la religione. Risultati simili sono stati rinvenuti da CIFA in fase di needs assessment tra i test somministrati agli insegnanti coinvolti nel progetto Amnesty Kids (8-13) per l’anno scolastico 2016-2017.
Le domande, 30 in totale, tra quesiti a risposta multipla e aperta, sono state sottoposte in un periodo di rilevazione compreso tra giugno e settembre 2017. Su 220 test inviati, il 60% è stato compilato. A settembre sono state condotte 20 interviste in profondità con i docenti che si erano dimostrati più attivi nel progetto, e che hanno confermato la delicata situazione nelle loro scuole. È emerso come uno dei veicoli più rapidi di diffusione del discorso d’odio siano, anche a scuola, i social network.
Dalle interviste è emerso che, nonostante le regole vigenti vietino ai bambini di 8-13 anni di accedere liberamente ai social network, la quasi totalità degli alunni è presente online. In alcuni casi, i piccoli hanno utilizzato riferimenti e lessico attribuibili a episodi di linguaggio d’odio popolari nei social network. In particolare tra i maschi nella fascia 12-13 anni, si sono verificati episodi di aggressività nei confronti di bambine, minori stranieri, disabili. Un’iniziativa di sensibilizzazione e sviluppo dell’empatia, soprattutto attraverso approcci quali la peer education, volta a prevenire il sedimentarsi di pratiche comportamentali ostili, è stata riconosciuta come essenziale, anche per influire sui genitori, che spesso sono portatori di comportamenti discriminatori poi imitati dai figli.
Il progetto: l’approccio dei tre cerchi
Il progetto #iorispetto, di CIFA Onlus, unisce l’esperienza di diverse realtà impegnate nel campo dell’educazione ai diritti umani e alla cittadinanza globale a livello italiano (Associazione Multietnica Mediatori Interculturali – A.M.M.I., Amnesty International – Sezione Italiana, COREP, ICEI) e l’interessamento attivo di quattro Comuni: Torino, Milano, Albano Laziale e Palermo, per affrontare il tema del discorso d’odio attraverso un approccio sistemico.
L’approccio dei tre cerchi parte dal presupposto che qualsiasi azione volta a produrre un cambiamento sociale efficace e di lunga durata non possa prescindere da un coinvolgimento il più possibile ampio e completo dei soggetti coinvolti. Quando si tratta di linguaggio, potenzialmente, lo siamo tutti.
Si è deciso quindi di focalizzarsi innanzitutto sugli studenti dagli 8 ai 13 anni, che rappresentano il primo e più importante dei cerchi. Le attività educative organizzate per ragazze e ragazzi sono orientate a definire il discorso d’odio e a analizzare i motivi per cui la sua diffusione può essere dannosa per la società.
L’attività con gli studenti, per essere efficace, deve essere sostenuta dagli insegnanti, che sono i professionisti in possesso delle competenze necessarie per garantire il successo di progetti educativi di lungo periodo, e dai genitori, che non possono essere considerati estranei alla comunità educante dei propri figli.
Insegnanti e genitori hanno però bisogno di supporti esterni per rendere efficace la formazione, ed è per questo che il progetto ha previsto un affiancamento di attivisti per i diritti umani e mediatori interculturali, oltre che di specialisti di tecniche teatrali per il rafforzamento delle comunità. Tutti questi soggetti formano il secondo cerchio, che ha il compito di sostenere i ragazzi e rafforzarne le competenze.
Il terzo cerchio è quello delle amministrazioni comunali. Il vero cambiamento può infatti raggiungersi solo se le autorità locali si assumono la responsabilità di guidare il cambiamento.
È questo il nucleo della strategia Anti-Rumours, promossa dal Consiglio d’Europa, che il progetto ha deciso di sperimentare in quattro città italiane.