Come costruire lenti nuove con cui guardare alla realtà di nuove mafie complesse, mutevoli, sfuggenti, mimetizzate
Di Enrica Bienna
In un periodo in cui i comportamenti illegali sono ormai diffusamente innestati nel tessuto sociale e facilmente assimilabili a comportamenti di stampo mafioso, quale risonanza può avere per noi insegnanti l’invito del presidente Mattarella a creare nelle scuole quella “crescita culturale” necessaria a combattere le mafie?
Cogliamo certo la portata della sfida: si tratterà di rivoluzionare, nei nostri alunni, nella società, idee e comportamenti largamente condivisi, di modificare sistemi di valori e costruire nuove identità, in conflitto con quelli dei contesti sociali e familiari degli alunni. Si tratterà di lavorare basandoci essenzialmente sugli strumenti culturali in nostro possesso e sulla forza di modelli valoriali di cui noi dovremo essere per primi i portatori.
Ma sappiamo veramente di quali strumenti abbiamo bisogno? Penso, d’impulso, che i primi strumenti che ci servono sono lenti nuove con cui leggere una realtà mutevole e complessa. Altrimenti saremo incapaci di mutare alcunché. Accade infatti spesso che la realtà ci sfugga, o la leggiamo male, e non siamo consapevoli che a condizionarci sono gli stereotipi di cui siamo portatori. Ad esempio, numerosi stereotipi diffusi che riguardano la mafia, anche “colti”, impediscono spesso anche a noi insegnanti di riconoscerne le nuove forme, i nuovi fenomeni, e di leggere i pericolosi segnali che ci vengono dal contesto (interessante l’analisi sul sito: http://www.centroimpastato.com/gli-stereotipi/).
Allo stesso modo, sappiamo che sono gli stereotipi trasmessi dai contesti sociali e familiari ad influenzare l’identità dei bambini dei contesti a rischio (pensiamo agli stereotipi dell’ “uomo di potere”, del “forte con i deboli”, dello “stato inesistente”, e via via gli stereotipi sessisti, omofobi, razzisti..). Sono questi che diventano potenti strumenti di manipolazione dei gruppi e son questi che dettano comportamenti omertosi, violenti, comuni a malavitosi a bulli.
Ma abbiamo le competenze per aiutare i bambini a smontare questi schemi rigidi e poveri, e poi a formarsi nuovi schemi mentali aperti e flessibili con cui osservare e interpretare se stessi, gli altri, il mondo, per poi progettare interventi e miglioramenti?
Si tratta di costruire strumenti mentali potenti, per operare sulla sfera cognitiva, relazionale, affettiva. Fornirli a tutti, sarebbe già un’operazione di notevole impegno e valore culturale. Sarebbe un primo passo di un lungo percorso di “resistenza culturale”.